Di anoressia si muore, il 15% di chi è malato non ce la fa

Si inizia con le semplici diete e si finisce con i digiuni ad oltranza, fino a sviluppare la vera e propria patologia dell' anoressia. Il 15% muore ed il 20% ricade nella malattia. Sono cifre impressionanti quelle tracciate dagli esperti, riuniti ieri a Milano in un convegno organizzato dall'ospedale San Paolo. Fra i pazienti con disturbi del comportamento alimentare ci sono anche neonati di pochi mesi e bimbi sotto i tre anni. Piccoli che si nutrono solo con il biberon, che non vogliono essere svezzati, che rifiutano i cibi solidi e ingurgitano solo frullati. Oppure si lasciano morire di fame. Secondo le stime, nella fascia 0-3 anni soffre di disturbi alimentari il 2-3% della popolazione generale. Problemi che possono essere temporanei o sfociare in patologie più complesse, ma in genere sono frutto di difficoltà nella relazione mamma-bambino. Diversa, invece, la molla che fa scattare in un'adolescente o pre-adolescente la trappola dell'anoressia, della bulimia o di altre sindromi alimentari meno nette, ma altrettanto gravi. Ogni anno si registrano 6-7 nuovi casi ogni 100 mila abitanti. Sono soprattutto ragazze. Il rapporto con i coetanei dell'altro sesso è di 10 a uno. E dietro la malattia si nascondono diversi fattori scatenanti: c'è una componente genetica, e ci sono l'effetto di un cattivo esempio in famiglia, un disagio psicologico personale o un problema di educazione, persino la cultura sale sul banco degli imputati.Ogni paziente è diverso dall'altro e, spiegano gli esperti, ha bisogno di un trattamento ad hoc. E solo quattro su 10 riescono a guarire. Ce la fanno soprattutto se la malattia viene scoperta nelle sue fasi iniziali o se si tratta di pazienti in età evolutiva. Ma spesso il percorso di cura è lungo, perchè «questi ragazzi hanno problemi complessi. E per alcuni si associano anche disturbi depressivi o di ansia», spiega Alessandro Albizzati, dirigente medico dell'Unità operativa di neuropsichiatria infantile (Uonpia) del San Paolo. L'Uonpia dell'ospedale milanese è capofila di un progetto triennale che ha ottenuto un finanziamento di 800 mila euro l'anno. Obiettivo: mettere in rete le 6 Uonpia milanesi, e soprattutto fare formazione specifica per addestrare specialisti in grado di seguire con competenza i giovani pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare. Nel progetto c'è anche l'idea di razionalizzare i percorsi di cura, anche per far fronte allo scarso numero di posti letto dedicati. «Se una struttura - continua Albizzati - fa attività ambulatoriale e ha bisogno di ricoveri in day hospital, deve potersi rivolgere ai centri che fanno questo servizio». Del resto la gestione di questi pazienti è molto complicata, osserva Fortunata Cantini, camice bianco dell'Uonpia del San Paolo. «Alcune pazienti restano in cura per anni. E la loro presa in carico è costosissima». In media si spendono intorno ai 300 euro al giorno solo per il ricovero. «Le pazienti che versano nelle condizioni più gravi restano in ospedale anche mesi, per i trattamenti di urgenza necessari per rimetterle in piedi. Poi c'è tutto il percorso per evitare le ricadute che puntualmente si verificano».